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A 33 anni dalla morte Confesercenti ricorda Libero Grassi

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A 33 anni dalla sua morte, avvenuta per mano della mafia, a Palermo, il 29 agosto 1991, alle 7.30 del mattino, Confesercenti ricorda l’imprenditore Libero Grassi, morto per aver detto “No” al ‘pizzo’ e al racket delle estorsioni.

“Non pago perché sarebbe una rinunzia alla mia dignità di imprenditore”, disse l’11 aprile 1991 in un’intervista a Michele Santoro.

Il 30 agosto 1991, il giorno dopo il suo omicidio, il Corriere della Sera pubblicò una lettera di Libero Grassi in cui diceva: “… L’unico sostegno alla mia azione, a parte le forze di polizia, è venuta dalla Confesercenti palermitana. Devo dire di aver molto apprezzato l’iniziativa SoS Commercio che va nella stessa direzione della mia denuncia. Spero solo che la mia denuncia abbia dimostrato ad altri imprenditori siciliani che ci si può ribellare…”.

Grassi l’uomo del ‘No’ al pizzo per essere “Libero”

Libero Grassi nacque a Catania il 19 luglio 1924. Cresciuto a Palermo, nel 1942 Libero si trasferisce a Roma, dove studia Scienze Politiche. Rifiutandosi di combattere la Seconda Guerra Mondiale al fianco di fascisti e nazisti, entra in seminario e ne esce dopo la liberazione, tornando nel 1945 a studiare e laurearsi alla facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Palermo poiché il corso di laurea in Scienze Politiche era stato soppresso. Sceglie il lavoro d’impresa: a Gallarate con il fratello Pippo crea la sua prima azienda nel campo tessile. Tornati a Palermo fondano la Mima, un’azienda che produce biancheria da donna, che presto arriverà a contare 250 operai. Nel 1958 termina la collaborazione col fratello e nasce la Sigma, che fino al 29 agosto 1991 produrrà pigiami e vestaglie da uomo. Negli anni ’60, con la moglie Pina, entra nel Partito Radicale, e poi nel Partito Repubblicano. Collabora anche con diverse testate, tra cui Il Mondo. Già negli anni Ottanta è nel mirino di Cosa Nostra. Il 29 agosto 1991 in via Alfieri, mentre si stava recando verso la sua auto per andare in fabbrica, senza la scorta personale che aveva rifiutato, alle sette e quaranta di mattina, quattro colpi di pistola misero fine alla sua vita. Qualche mese dopo la sua morte il Governo emana il decreto-legge n.419, convertito in legge n.172/92, che istituisce il fondo di solidarietà in favore delle vittime di richieste estorsive e di usura.

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